Lo smartworking è diventato la normalità per un numero consistente di lavoratori, molti dei quali continueranno a operare in questa modalità anche dopo la fine dell’emergenza. Mentre prima del covid se ne avvalevano circa 570mila persone in Italia, lo scorso anno, durante il primo lockdown, 8 milioni gli italiani hanno iniziato a lavorare da remoto. In realtà lo smartworking comporta un ripensamento completo di diversi aspetti dell’attività lavorativa. E' destinato a restare anche nel post pandemia serve introdurre regole uguali per tutti, da inserire anche nei contratti collettivi. Se ne è detto convinto il professor Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp, l’Istituto nazionale delle politiche pubbliche, che ha organizzato un webinar sulle prospettive del lavoro agile. “Adesso serve una contrattazione collettiva per dare allo smartworking una struttura solida e organica. Per questo è necessario un intervento quadro del governo all’interno del quale si possano disegnare modalità organizzative aderenti all’evoluzione delle tecnologie e alle competenze dei lavoratori. Prima della pandemia il lavoro agile si basava infatti su accordi individuali tra azienda e singolo lavoratore. “I tratti caratterizzanti di questa modalità sono due”, ha sottolineato il giuslavorista Arturo Maresca. “Il primo è che la prestazione lavorativa non è più nel dominio del datore di lavoro, ma viene resa senza precisi vincoli di luogo o di tempo. Come avviene questo svincolo? Con un accordo tra le parti, e questo è il secondo aspetto. La legge non evoca la contrattazione collettiva, non la impedisce e non la impone. Ma ciò che è necessario è l’accordo tra lavoratore e datore, che è sempre reversibile” e quindi può essere revocato o cambiato in ogni momento. Le norme attuali lasciano quindi ampio spazio alla discrezionalità, e creano situazioni di disparità tra i lavoratori. Per questo, secondo Fadda “occorre introdurre nelle aziende, e man mano anche nei contratti di lavoro collettivi, regole comuni per dare a tutti le stesse opportunità. Bisogna eliminare quelle disuguaglianze, generazionali e di genere, che il Covid-19 ha reso ancora più manifeste”.

Smartworking: lo studio dell'Inapp

Uno studio dell’Inapp ha dimostrato infatti che lo smartworking ha favorito gli uomini e chi percepisce redditi più alti. “È emersa la disparità presente nel mondo del lavoro. Si tratta di un dato statistico: la forza lavoro femminile e quella con minore retribuzione è concentrata in funzioni che difficilmente possono svolgersi da remoto”, ha rilevato Fadda. “Con il lockdown questi lavoratori hanno dovuto interrompere l’attività, perdendo reddito, o hanno dovuto esporsi ad un rischio elevato di contagio”. A essere penalizzati sono stati anche i giovani: in molti hanno perso il lavoro perché svolgendo mansioni “base” non hanno potuto accedere allo smartworking. Altri, in quanto precari non hanno avuto il rinnovo del contratto. Per questi motivi, ha concluso il presidente dell’Inapp, serve un intervento della politica. “In questo deve avere un ruolo di regia, stabilire una cornice di diritti e di regole quali il diritto alla disconnessione, la fornitura degli strumenti di lavoro, le tempistiche. Una delle possibilità è quella di differenziare le modalità settore per settore, tenendo conto delle specificità. I servizi bancari, per esempio, non hanno le stesse problematiche del manifatturiero”. Leggi anche: “De Luca basta, non arriviamo a fine mese”. Lavoratori protestano davanti alla Regione Metti like alla pagina 41esimoparallelo e iscriviti al gruppo 41esimoparallelo Seguici sul nostro canale Youtube 41esimoparallelo
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